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- Il femminicidio di Lorena Quaranta è avvenuto il 31 marzo 2020.
- La Cassazione esaminerà il ricorso il 20 maggio.
- De Pace è stato condannato all'ergastolo, poi annullato con rinvio.
Il caso del femminicidio che ha visto coinvolta Lorena Quaranta, un dramma avvenuto il 31 marzo 2020, si avvicina ora a un possibile nuovo e auspicabilmente conclusivo capitolo legale. È la volta della Corte di Cassazione, cui spetta esaminare il ricorso depositato dalla difesa dell’infermiere, identificato come Antonio De Pace. Questo soggetto era stato precedentemente condannato all’ergastolo in seguito all’assassinio della studentessa di Medicina. L’udienza per la revisione è programmata per il giorno 20 maggio.
Il percorso giudiziario
Il caso Quaranta ha avuto un iter giudiziario complesso e travagliato. Inizialmente, De Pace era stato condannato all’ergastolo, ma la Cassazione aveva annullato la sentenza con rinvio, chiedendo alla Corte d’Assise d’Appello di valutare la sussistenza di eventuali attenuanti generiche, legate a un presunto “stress da Covid”. La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, tuttavia, aveva confermato la condanna all’ergastolo, ritenendo infondate le attenuanti invocate dalla difesa. Ora, i legali di De Pace tornano a contestare la decisione, lamentando una motivazione “illogica, contraddittoria e apodittica”, e sottolineando la mancata considerazione della condizione psico-emotiva del loro assistito al momento del delitto.

Il femminicidio e le sue motivazioni
La tragica morte di Lorena Quaranta, avvenuta la notte del 31 marzo 2020, si consumò all’interno di un appartamento situato a Furci Siculo, dove coabitava con De Pace. Fu proprio quest’ultimo a contattare le forze dell’ordine per segnalare l’accaduto e ad ammettere la propria responsabilità nel crimine. Tuttavia, il motivo alla base della vicenda rimane oscuro e poco definito. In fase iniziale delle indagini, De Pace dichiarò che l’omicidio era frutto della convinzione di aver contratto il Covid-19 per colpa della compagna; tale spiegazione ha suscitato parecchi dubbi sia tra gli investigatori che tra i familiari della giovane vittima.
Il dolore dei familiari e la speranza di giustizia
Il clan dei Quaranta, rappresentato dall’avvocato Giuseppe Barba, vive un’esperienza carica di intensa sofferenza all’interno del prolungato ed estenuante processo legale che li coinvolge. Il padre, Vincenzo Quaranta, ha espresso apertamente il proprio disappunto riguardo alla lentezza della giustizia e al trattamento delle vite femminili nella società odierna. In una dichiarazione rilasciata durante un’altra drammatica vicenda mortale accaduta a Messina, che segna cinque anni dalla scomparsa dolorosa della figlia Lorena, egli evidenzia il sentimento lancinante e l’inevitabile frustrazione provati da chi perde qualcuno caro vittima delle aggressioni contro le donne. L’intera famiglia ripone ora fiducia nel fatto che la Corte Suprema possa finalmente concludere questo triste epilogo conferendo così una risposta soddisfacente alla questione relativa alla vita e al ricordo dell’amata Lorena.
Verso una conclusione definitiva? Riflessioni sul femminicidio e la giustizia
L’imminente udienza presso la Cassazione rappresenta un passaggio decisivo non solo per i membri della famiglia Quaranta ma anche per l’intera comunità circostante. Prescindendo dall’esito finale del processo stesso, il caso legato a Lorena Quaranta riporta alla luce interrogativi significativi sulla violenza di genere e sull’urgenza ineludibile di interventi proattivi da parte delle istituzioni nonché della società civile. Si nutre l’auspicio che quest’ulteriore fase giudiziaria possa servire a stimolare discussioni nell’opinione pubblica ed agevolare il diffondersi di valori imperniati sul rispetto reciproco e sull’uguaglianza tra i sessi.
Riflettiamo brevemente sugli aspetti giuridici implicati: spicca qui il concetto chiave del dolo, inteso come cosciente intenzione nel perpetrare un reato specifico. Potremmo quindi chiederci se De Pace abbia realmente agito con dolo? La Corte Suprema sarà chiamata ad approfondire tale punto nei prossimi giorni.
In aggiunta a esso emerge anche una notazione più complessa: quella riguardante la capacità di intendere e volere. Era De Pace davvero consapevole delle sue azioni quando ha commesso il delitto? I motivi attenuanti avanzati dalla difesa poggiano infatti su questo scottante presupposto interpretativo. La situazione in oggetto suscita interrogativi fondamentali: quali misure dobbiamo adottare per contrastare il fenomeno della violenza di genere? In che modo possiamo assicurare che le vittime e i loro familiari ricevano una giustizia tempestiva ed efficiente? Trovare risposte non è affatto banale; tuttavia, si deve partire dall’educazione, dalla crescente sensibilizzazione, e dal mantenere vivo un impegno incessante coinvolgendo ogni membro della comunità.