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- La sentenza n. 135 del 2024 conferma che non esiste un «diritto di morire».
- I requisiti per il suicidio assistito includono patologia irreversibile e sofferenze intollerabili, come stabilito nel 2019.
- La Corte sottolinea l'importanza di garantire l'accesso alle cure palliative per controllare la sofferenza.
La Corte Costituzionale italiana ha emesso una sentenza significativa il 18 luglio 2024, confermando che non esiste un «diritto di morire». La sentenza n. 135 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Gip di Firenze sull’articolo 580 del codice penale. Questo articolo riguarda l’estensione della non punibilità del suicidio assistito oltre i confini stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, che si riferiva al caso di Dj Fabo.
I requisiti per l’accesso al suicidio assistito, come stabilito dalla sentenza del 2019, includono l’irreversibilità della patologia, la presenza di sofferenze fisiche o psicologiche che il paziente reputa intollerabili, la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale e la capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli. Questi requisiti devono essere accertati dal Servizio Sanitario Nazionale con modalità procedurali stabilite nella sentenza.
Il caso di Firenze e le implicazioni legali
Il procedimento penale a Firenze vede indagati Marco Cappato, Felicetta Maltese e Chiara Lalli, che nel 2022 si autodenunciarono per l’aiuto fornito a Massimiliano, un 44enne malato di sclerosi multipla, per recarsi in Svizzera dove morì col suicidio assistito. La Corte Costituzionale ha espresso l’auspicio che il legislatore e il Servizio Sanitario Nazionale assicurino l’attuazione ai principi fissati dalla precedente sentenza del 2019, pur lasciando aperta la possibilità per il legislatore di dettare una diversa disciplina.
La Corte ha ribadito l’importanza di garantire ai pazienti la possibilità di accesso alle cure palliative per controllare la sofferenza. Ha inoltre sottolineato che ogni giudice deve valutare caso per caso ogni vicenda giudiziaria relativa al suicidio assistito, basandosi sui principi espressi nella sentenza del 2019.
Interpretazione dei trattamenti di sostegno vitale
Un passaggio cruciale della nuova sentenza riguarda la nozione di “trattamenti di sostegno vitale”. La Corte ha stabilito che questa nozione deve essere interpretata dal Servizio Sanitario Nazionale e dai giudici comuni in conformità alla ratio della sentenza n. 242 del 2019. La nozione include anche procedure come l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri e l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali, normalmente compiute da personale sanitario ma che possono essere apprese anche dai familiari o “caregivers” che assistono il paziente. L’interruzione di tali trattamenti deve determinare prevedibilmente la morte del paziente in breve lasso di tempo.
Antonio Brandi, Presidente di “Pro Vita & Famiglia”, ha commentato che la Corte ha respinto le questioni sollevate dai legali dell’associazione Coscioni sul fine vita, negando l’esistenza di un diritto assoluto a decidere come e quando morire. Ha inoltre criticato l’interpretazione estensiva sulla definizione di «trattamenti di sostegno vitale», affermando che questa interpretazione aumenta il numero di casi in cui si può aiutare una persona a suicidarsi, velocizzando una deriva eutanasica.
Il ruolo del legislatore e del Servizio Sanitario Nazionale
La Corte Costituzionale ha ribadito che il compito di individuare un equilibrio tra il diritto all’autodeterminazione e il dovere di tutela della vita umana spetta al legislatore, nell’ambito della cornice precisata dalla giurisprudenza. La Corte ha sottolineato che ogni vita è portatrice di inalienabile dignità, indipendentemente dalle condizioni in cui si svolge. La nozione “soggettiva” di dignità evocata dall’ordinanza di rimessione è connessa alla concezione del paziente della propria persona, ma resta necessario un bilanciamento a fronte del dovere di tutela della vita umana.
La Corte ha anche negato la violazione del diritto alla vita privata riconosciuto dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nella sentenza Karsai contro Ungheria del 13 giugno scorso, la Corte di Strasburgo ha escluso che l’incriminazione dell’assistenza al suicidio violi il diritto alla vita privata di una persona affetta da patologia degenerativa del sistema nervoso in stato avanzato, riconoscendo un margine di apprezzamento allo Stato nel bilanciamento tra il diritto e la tutela della vita umana.
Bullet Executive Summary
In conclusione, la sentenza della Corte Costituzionale del 18 luglio 2024 conferma che non esiste un diritto assoluto a decidere come e quando morire. La Corte ha ribadito i requisiti per l’accesso al suicidio assistito stabiliti nella sentenza del 2019 e ha sottolineato l’importanza di garantire ai pazienti l’accesso alle cure palliative. Il compito di bilanciare il diritto all’autodeterminazione con il dovere di tutela della vita umana spetta al legislatore, che deve operare all’interno della cornice giuridica stabilita dalla Corte.
*Nozione base di legale correlata al tema: Il diritto all’autodeterminazione terapeutica consente ai pazienti di rifiutare trattamenti medici, anche se necessari per la sopravvivenza, in conformità con l’articolo 32 della Costituzione italiana.
Nozione di legale avanzata:* La Convenzione europea dei diritti dell’uomo riconosce il diritto alla vita privata, ma lascia agli Stati un margine di apprezzamento nel bilanciamento tra questo diritto e la tutela della vita umana, come evidenziato nella sentenza Karsai contro Ungheria.
Questa sentenza della Corte Costituzionale invita a riflettere profondamente sul delicato equilibrio tra il diritto all’autodeterminazione e la tutela della vita umana, stimolando una riflessione personale su come la società debba affrontare temi così complessi e sensibili.
- Sentenza n. 135/2023 della Corte Costituzionale italiana
- Sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, fondamentale per comprendere i requisiti per l'accesso al suicidio assistito in Italia
- Sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale italiana, documento ufficiale di riferimento per la normativa sul fine vita e sui trattamenti di sostegno vitale