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- La Corte di Cassazione ha confermato la condanna all'ergastolo per Vincenzo Rispoli il 13 giugno 2024.
- Rispoli è stato riconosciuto colpevole dell'omicidio di Cataldo Aloisio, avvenuto nel 2008, come deciso dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano.
- Il corpo di Aloisio fu trovato con ferite d’arma da fuoco al cimitero di San Giorgio su Legnano il 27 settembre 2008.
- La sentenza ha annullato con rinvio la condanna all’ergastolo per Vincenzo Farao e Francesco Cicino, che dovranno affrontare un nuovo processo d’appello.
Il 13 giugno 2024, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo per Vincenzo Rispoli, capo della cosca locale della ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo. Rispoli, detenuto in regime di 41 bis a L’Aquila, è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di Cataldo Aloisio, avvenuto nel 2008. La sentenza definitiva segue quella emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano lo scorso anno, che aveva identificato Rispoli come l’esecutore materiale dell’omicidio.
Il corpo di Aloisio, imprenditore edile di 34 anni originario di Cirò Marina, fu ritrovato il 27 settembre 2008 nel cimitero di San Giorgio su Legnano. L’uomo presentava ferite d’arma da fuoco, tra cui un colpo alla nuca, segno di un’esecuzione. Cataldo Aloisio era genero di Giuseppe Farao, boss della ‘ndrangheta, e imparentato con altri esponenti di spicco della cosca Farao-Marincola, che avevano interessi in Lombardia.
Il contesto dell’omicidio
L’omicidio di Cataldo Aloisio si inserisce in un contesto di faide interne alla famiglia e alla cosca di appartenenza. Aloisio, genero del boss Giuseppe Farao, era stato assassinato per vendicare la morte dello zio Vincenzo Pirillo, ucciso l’anno precedente. La decisione di eliminare Aloisio fu presa dai vertici della cosca Farao-Marincola, tra cui Silvio Farao e Cataldo Marincola, che temevano che Aloisio potesse collaborare con le forze dell’ordine.
Il contributo decisivo per la ricostruzione dei fatti è arrivato dal pentito Francesco Farao, figlio del boss Giuseppe Farao, che nel 2018 ha iniziato a collaborare con la giustizia. Durante un interrogatorio, Francesco Farao ha indicato come responsabili della morte del cognato suo zio Silvio Farao, Cataldo Marincola e Vincenzo Rispoli. Ha inoltre rivelato che Aloisio era stato ucciso perché voleva vendicare lo zio Vincenzo “Cenzo” Pirillo, un altro esponente di spicco della cosca.
Le implicazioni legali e sociali
La conferma dell’ergastolo per Vincenzo Rispoli e per i mandanti dell’omicidio di Cataldo Aloisio rappresenta un importante passo nella lotta contro la ‘ndrangheta e le sue infiltrazioni nel nord Italia. L’arresto di Rispoli ha permesso di far luce sull’estensione dell’infiltrazione della ‘ndrangheta nelle economie locali e nei sistemi politici del nord Italia, evidenziando come le cosche calabresi abbiano saputo radicarsi anche lontano dai territori di origine.
La sentenza della Cassazione ha inoltre annullato con rinvio la condanna all’ergastolo per Vincenzo Farao, figlio di Giuseppe Farao, e Francesco Cicino, vicino alla famiglia Novella, che dovranno affrontare un nuovo processo d’appello. Questo sviluppo dimostra come la giustizia italiana continui a perseguire con determinazione i membri delle organizzazioni criminali, anche a distanza di anni dai fatti.

Bullet Executive Summary
La conferma della condanna all’ergastolo per Vincenzo Rispoli e i mandanti dell’omicidio di Cataldo Aloisio segna un’importante vittoria nella lotta contro la ‘ndrangheta. Questo caso evidenzia come le faide interne alle cosche possano portare a violenze estreme e come le infiltrazioni della criminalità organizzata possano estendersi ben oltre i confini regionali. La collaborazione dei pentiti si è rivelata cruciale per la ricostruzione dei fatti e per portare alla giustizia i responsabili.
Nel panorama legale moderno, è fondamentale comprendere l’importanza della collaborazione tra diverse giurisdizioni e l’uso di strumenti legali avanzati per combattere le organizzazioni criminali. La nozione di ergastolo come pena perpetua senza possibilità di liberazione condizionale, se non in casi eccezionali, rappresenta una misura estrema ma necessaria per i crimini più gravi. Inoltre, la collaborazione con la giustizia da parte dei pentiti offre una via per smantellare le strutture criminali dall’interno, fornendo informazioni vitali alle autorità.
Questi sviluppi ci invitano a riflettere sull’importanza di un sistema giudiziario forte e collaborativo, capace di adattarsi e rispondere efficacemente alle sfide poste dalla criminalità organizzata. La giustizia, in questo contesto, non è solo una questione di punizione, ma anche di prevenzione e protezione della società nel suo complesso.