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- Ugo Ledonne del Foro di Cosenza ha difeso il suo assistito contro domande nocive del giudice, proteggendo la genuinità delle testimonianze secondo l'articolo 499 del codice di procedura penale.
- Il pubblico ministero di Verona ha richiesto la trasmissione degli atti alla procura, violando le prerogative difensive dell'avvocato.
- La Camera penale di Cosenza ha invocato l'azione disciplinare per il pubblico ministero, segnalando comportamenti gravemente scorretti nei confronti dei difensori.
Il diritto di difesa è un principio fondamentale sancito dall’articolo 24 della Costituzione italiana, che lo definisce come inviolabile. In alcune ipotesi residuali, questo diritto non può essere esercitato direttamente dal cittadino, ma richiede l’intervento di uno strumento che veicoli le istanze di tutela giurisdizionale, assicurando il rispetto delle norme sostanziali e processuali, nell’interesse del privato e “nell’interesse supremo della Nazione”. Questo strumento è l’avvocato, l’intermediario tra il singolo e lo Stato, essenziale per l’attuazione del giusto processo, l’affermazione dei diritti individuali e la tutela degli interessi collettivi.
Il codice deontologico nazionale ed europeo assegna all’avvocato il compito di assicurare, durante il processo, la regolarità del giudizio e del contraddittorio, vigilando sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione e dell’Ordinamento dell’Unione Europea, nonché al rispetto dei principi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Questo ruolo è cruciale per la tutela degli interessi della parte assistita.
Tuttavia, negli Stati liberali secolarizzati, esiste il paradosso della promessa di diritti che non vengono sempre garantiti. L’ordinamento tende a tutelarsi mediante il ricorso a schemi repressivi e autoritativi, che spesso offendono le libertà fondamentali su cui si fonda la pretesa del liberalismo. Il bilanciamento sostenibile tra queste forze è un’opera complessa che richiede equilibrio da tutte le parti coinvolte.
Il Caso dell’Avvocato Ugo Ledonne
Il collega Ugo Ledonne del Foro di Cosenza, invitato dal Tribunale di Verona a non rivolgere domande nocive a un teste, ha esercitato le sue prerogative difensive per impedire la formazione di una prova non affidabile, raccolta secondo schemi procedimentali non consentiti. In questo modo, ha tutelato il diritto di difesa del suo assistito, agendo come promotore, interprete e custode secondo legge e regolamenti.
Tuttavia, il pubblico ministero della Procura di Verona, in risposta alla legittima condotta processuale dell’avvocato, ha richiesto la trasmissione degli atti al proprio ufficio, invitando l’avvocato a “spiegare in Procura”. Questo atteggiamento ha violato con toni inquisitori e inopportuni le prerogative difensive dell’avvocato e il diritto di difesa dell’imputato che il legale stava tutelando.
Perché una simile scompostezza? La risposta è complessa e incrocia problemi antichi e nuovi dell’esercizio della giurisdizione. Vi sono aspetti culturali che fanno sentire il pubblico ministero come una “parte” del processo, pronto a utilizzare poteri pubblicistici che l’avvocato non ha. Vi sono aspetti ordinistici che ricordano al pubblico ministero di essere collega del giudice, spingendolo a tutelarlo anche oltre la necessità di difesa. Vi sono aspetti ideologici che inducono il pubblico ministero a considerare il difensore alla stregua dell’imputato, un transitorio e fastidioso ostacolo tra l’esercizio dell’azione penale e l’esecuzione della pena.
Chissà se la separazione delle carriere riuscirà a risolvere questi problemi. Vi sono anche aspetti politici, metafisici e mistici che si rifanno alle teorie di Plowden e alle intuizioni di Kantorowicz. L’idea del rappresentante del potere giudiziario dotato di vestigia fisiche e mortali, ma anche di un aspetto immateriale e quasi divino, il “doppio corpo”, legittima la sua autorità. Questa caratteristica gli permette di derivare i crismi della ineffabilità, legibus solutio, e l’intangibilità del suo operato da parte degli esseri mortali, criticandolo, specie se attentano alla sua maestà.
Arroccato in una dimensione divina, il pubblico ministero non ha percepito che l’avvocato sollecitava il rispetto delle regole, corretto e legittimo, per la legittimazione del suo potere. All’avvocato Ugo Ledonne e agli amici della Camera penale di Cosenza va la nostra vicinanza e solidarietà, con la consapevolezza che nel moderno diritto penale la lotta continua, e continueremo a opporci senza sosta, fedeli alla Toga, nella moderna lotta per il diritto.
La Diatriba tra Accusa e Difesa
Lo scontro tra accusa e difesa è emerso in un’aula di giustizia, mentre il dibattito parlamentare sulla separazione delle carriere dei magistrati resta teso. La diatriba tra il pubblico ministero e il difensore di un imputato accusato di bancarotta risale al 10 giugno scorso. L’avvocato Ugo Ledonne, del foro di Cosenza, si è opposto alle domande del giudice rivolte al testimone durante le indagini difensive. La controversia è nata quando il penalista Ledonne ha ritenuto che le domande compromettessero la genuinità delle risposte, inducendo il teste a confusione.
Il diritto di opporsi a domande suggestive o nocive è un pilastro fondamentale del contraddittorio, con fondamento nel comma 6 dell’articolo 499 del codice di procedura penale e nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Sez. IV, 6. 2. 2020 n° 15331, n. sez. 251/ 2020). La Camera penale di Cosenza, in un documento al ministero della Giustizia, ha evidenziato che il diritto esercitato dall’avvocato Ugo Ledonne, difensore dell’imputato, si è opposto alle domande del giudice ritenute nocive per la genuinità della testimonianza, inducendo il teste a confusione.
Il pubblico ministero, di fronte all’opposizione, non è intervenuto nel merito né ha atteso la decisione del giudice, ma ha richiesto la trasmissione del verbale all’Ufficio di procura per il reato di oltraggio a un magistrato in udienza. Il pubblico ministero, di fronte alla replica dell’avvocato, che rivendicava la legittimità dell’opposizione e chiedeva al giudice di interloquire per precisarla, ha tentato di “zittire” l’avvocato prima della decisione del giudice, rivolgendogli l’inquisitorio ammonimento: “Lo farà in procura”.
Il fatto non è “semplicemente” grave, ma va inquadrato nella generale violazione del diritto di difesa. Si tratta di un vero “attentato” ai principi fondamentali dello Stato di diritto: l’autonomia e l’indipendenza dell’Avvocatura. È un inedito e pericoloso modo di intimorire l’azione difensiva dell’avvocato dell’imputato, durante l’attività costituzionale di difesa dei diritti dell’assistito, con la pubblica accusa d’udienza che prospetta l’iscrizione nel “registro degli indagati” per un delitto punito sino a cinque anni di reclusione.
L’avvocato Ledonne ha esercitato prerogative costituzionali nelle forme previste dall’articolo 24, nel rispetto delle regole per l’esame testimoniale dall’articolo 499 e dell’interpretazione della Suprema Corte. Oltraggiata è la Toga dell’avvocato, non altro.
Richiesta di Azione Disciplinare
La Camera penale di Cosenza ha invocato l’azione disciplinare per il pubblico ministero di Verona, una decisione che spetta al ministro della Giustizia Carlo Nordio, in base agli articoli 2 e 14 del d. lgs. 109/2006. Il ministro dovrà valutare la sussistenza della fattispecie nella lettera d) dell’articolo, che riguarda “comportamenti gravemente scorretti nei confronti dei difensori delle parti”. In caso affermativo, sarà necessario promuovere l’azione disciplinare nei confronti del magistrato pubblico ministero che ha chiesto la trasmissione degli atti alla procura per il reato di “oltraggio a un magistrato in udienza” nei confronti dell’avvocato che ha esercitato il diritto di difesa.
La Camera penale di Cosenza ha interessato l’Unione delle Camere penali italiane, la Camera penale di Verona e il coordinamento delle Camere penali calabresi. L’articolo 2 lett. d) del d. lgs. n° 109 del 23 febbraio 2006 annovera, tra gli illeciti disciplinari dei magistrati, “i comportamenti gravemente scorretti nei confronti dei difensori delle parti”.
Il Consiglio direttivo della Camera penale di Cosenza, con il segretario Gabriele Posteraro e il presidente Roberto Le Pera, ha trasmesso un documento all’Unione delle Camere Penali Italiane e ha comunicato con la Camera Penale Veronese e il Coordinamento delle Camere Penali Calabresi.
Bullet Executive Summary
In conclusione, il caso dell’avvocato Ugo Ledonne mette in luce le tensioni esistenti tra accusa e difesa nel sistema giudiziario italiano. La richiesta di azione disciplinare per il pubblico ministero di Verona rappresenta un passo importante per la tutela dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Avvocatura, principi fondamentali dello Stato di diritto. Questo caso solleva importanti questioni sul rispetto delle prerogative difensive e sul ruolo cruciale degli avvocati nel garantire un giusto processo.
Una nozione base di legale correlata al tema principale dell’articolo è il principio del giusto processo, sancito dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che garantisce il diritto a un processo equo e pubblico entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale.
Una nozione di legale avanzata applicabile al tema dell’articolo è il concetto di “cross-examination” o controinterrogatorio, che è una tecnica utilizzata nel processo penale per mettere alla prova la credibilità dei testimoni. Questo diritto è fondamentale per garantire un contraddittorio effettivo e per prevenire la formazione di prove non affidabili.
Riflettendo su questi principi, è evidente quanto sia cruciale il ruolo dell’avvocato nel sistema giudiziario. La sua funzione non è solo quella di difendere l’imputato, ma anche di garantire che il processo si svolga nel rispetto delle regole e dei diritti fondamentali. Questo caso ci invita a considerare l’importanza di mantenere l’equilibrio tra le diverse parti del processo e a vigilare affinché i diritti di difesa siano sempre rispettati.